Intervista a Massimo Iosa Ghini
Intervista a Iosa Ghini: la prima risposta è quella che conta
Arch. Iosa Ghini, ci racconta del Suo pensiero progettuale e stilistico?
Ricordo un gioco a quiz televisivo dove imperava la frase significativa “la prima risposta è quella che conta”. Ecco nel mio lavoro facciamo il contrario: raffiniamo la domanda con risposte parziali sino ad ottenere la risposta più evoluta; si potrebbe dire che è l’ultima risposta quella che conta.
Mi ritrovo a volte, dopo settimane di “raffineria”, a trovare delle risposte giuste quasi all’ultimo momento. Pensare e pensare il più lungamente possibile stando sempre nei tempi che la vita ci impone ristretti. Questa urgenza a volte spinge a tralasciare il comunicato esteriore a favore di una supposta sostanza. Io credo
invece che contenuto e sostanza siano inscindibili dall’aspetto, per questo in quello che creo tengo ben presente il contenuto e il contenitore. Lo stile identifica il contenitore e annuncia il contenuto, nostro compito è creare empatia nell’utilizzo delle cose e degli spazi che progettiamo attraverso l’arte del visibile.
Massimo Iosa Ghini, un artista e un progettista tra i più eclettici in Italia, perché tutti i Suoi progetti e lavori sono accomunati dal Disegno? Negli anni ‘80 è stato animatore di gruppi d’avanguardia, che cosa ci racconta in merito?
Il disegno è un potente strumento di creazione, di progettazione e di trasmissione. Col disegno si affina e si rende concreta l’idea, la si progetta e la si rende operativa mentre la si disegna. Il disegno rende profonda l’idea. Disegna e avrai fatto il progetto.
Fatto il progetto si danno gli elementi per trasmettere a chi deve realizzare: nonostante i potenti computer di oggi, senza disegno non si può trasmettere un’idea. Stimolo i miei collaboratori e studenti a disegnare quando creano; fatto un bel disegno hai chiaro in testa cosa devi fare, sei al primo solido passo verso la realizzazione di una iniziale idea. A volte faccio disegni che osano, vado oltre quello che sento possibile.
Realizzabile è la mia forma di ricerca, di sperimentazione, il legame con l’avanguardia.
L’avanguardia è un atteggiamento che direi ha uno sfondo politico, si va avanti con il pensiero, si guarda a ciò che potrebbe essere, lo si immagina in modo migliore rispetto alla realtà, è un progetto al quadrato, un superprogetto. Il superprogetto è una simulazione di situazione. Si simula qualcosa che non c’è e si
accelera il processo di definizione della cosa.
Ha a che fare con la science fiction, con certi romanzi di Philip Dick e Ray Bradbury, ma anche con le denegazioni del fisico Michio Kaku. Si immagina un oggetto, un ambiente e anche un mondo diverso e si accelera la sua definizione soltanto dei passaggi. Lo scopo è la costruzione dell’ideale, di un mondo migliore rispetto a quello che si ottiene dal processo iperrealista o prosaico, si ottiene un mondo poetico da cui trarre gli spunti per migliorare il mondo reale. Negli anni ottanta abbiamo definito le radici dell’avanguardia ragionando attorno al tema della velocità. Con il Bolidismo abbiamo capito che accelerando e materializzando la società, il mondo sarebbe cambiato. Il design in cui la forma non è più funzione ma è immagine è stata una profezia avverata, oggi che siamo tutti icona dipendenti davanti agli schermi dei nostri smartphone.
Lei è forse il precursore dello stile classico contemporaneo?
Lo stile classico è frutto della sedimentazione dell’idea che ci siamo fatti della storia. Anche qui è un fatto legato alle immagini. Io non rinuncio alla storia che fa parte della nostra giornata, nelle nostre città e la integro quotidianamente nella mia visione accelerata e futurista della realtà. Se questo genera un nuovo classico, ben venga.
Quali sono i Suoi principali progetti di architettura realizzati? In quali paesi?
Sto disegnando architetture e interior design in tutto il mondo. Il nostro studio segue e ha seguito alcuni tra i più importanti roll-out di catene di spazi commerciali che sono un’occasione rilevante per capire i contesti urbani in cui si collocano. Contesti internazionali, ove progettiamo anche edifici residenziali, come a
Berlino e a Mosca, in aree ed edifici di alto livello. Un importante progetto è in corso a Miami, dove stiamo seguendo una torre residenziale di 66 piani nella zona di Brickell.
A Bologna, la mia città, è in corso di realizzazione una grande struttura per il trasporto delle persone, il People Mover, di cui abbiamo disegnato la parte architettonica e il concept design: un sistema di trasporto di tipo innovativo che prevede un’infrastruttura della lunghezza totale di circa 5000 metri, composta, oltre che dalla
monorotaia, dai due capolinea Aeroporto e Stazione FS e dalla fermata intermedia Lazzaretto, posta a circa metà del percorso.
Qualche settimana fa abbiamo inaugurato in Italia il refit del ponte commerciale autostradale Chef Express di Novara (del Gruppo Cremonini). Si tratta di un luogo simbolo, di una vera e propria icona della rete autostradale: qui nel 1947 l’imprenditore dolciario Mario Pavesi aprì la prima area di ristoro. Abbiamo curato la progettazione architettonica dell’involucro esterno con una particolare attenzione verso i temi della sostenibilità ambientale.
Ci racconta la Sua idea di Made in Italy?
Il Made in Italy ha a che fare con le avanguardie. Oltre che un solido sistema produttivo è un modo di pensare. E’ basato su un’idea di fondo: produrre qualcosa di più bello e innovante rispetto a ciò che c’è già. Innovazione e bellezza sono i tratti distintivi che poi declinano capacità del fare, tecnologia e maestria. Il Made in Italy esprime la condanna (dolce) all’innovare. Anche se ci proviamo, la storia del paese insegna che non siamo grandi ottimizzatori, come lo sono invece i nord europei e certi paesi asiatici, ma siamo più propensi a cercare il nuovo, l’inaspettato. La grande capacità del sistema Made in Italy è saper rispondere alle sollecitazioni definendo soluzioni per le nuove esigenze, un processo dinamico accentuato.
Questo sta determinando una capacità di risposta a tutte quelle esigenze particolari specifiche che non trovano soluzioni in una risposta massificata seriale, ma che hanno invece soluzione in ciò che viene realizzato appositamente in modo speciale.
Questo è possibile grazie all’evoluzione tecnologica, che permette di definire prodotti e servizi molto sofisticati, non necessariamente asserviti alla grande scala produttiva.
La Smart Automation 4.0 permette risposte anche minimali di piccole serie non più legate al mass product. Una capacità industriale artigianale messa a servizio di una grande e mondiale richiesta di sartorialità 4.0, meno serialità, più specialità. Questa produzione speciale determina alla fine una differenza di qualità in tutta la filiera produttiva, in particolare nella mentalità di chi realizza fisicamente le cose, gli oggetti, i manufatti. Assieme alla fatica del fare, c’è la voglia del ben fare, di migliorare. Questo si riflette alla fine del processo anche in un materiale ad alta produzione industriale come la ceramica, dove però il gusto, il dettaglio, la finitura, cercando tignosamente la qualità, creano la differenza di un prodotto più evoluto e attento alla sostenibilità.
La collaborazione con il Gruppo Ceramiche Ricchetti. Come è nata e come si sviluppa?
La collaborazione con il Gruppo Ceramiche Ricchetti nasce dal ritrovarsi con Andrea Lodetti, AD del Gruppo, e dall’esigenza dell’azienda di sviluppare una direzione artistica insieme al rinnovo dell’immagine aziendale. L’esordio è stato con l’installazione IN/OUT, realizzata nell’ambito della mostra evento Interni Open Borders in occasione della Milano Design Week 2016: una micro architettura ancestrale in cui due unità abitative semplici, rivestite in ceramica, dialogano tra loro simboleggiando il confine aperto tra esterno e interno, caos e ordine, individuo e collettività; seguita da I’M-Material (FuoriSalone di Milano 2017), un ambiente fatto di ceramica e luce in cui si affronta l’antico tema del dualismo tra materiale e immateriale. L’evoluzione della Design Identity aziendale la raccontiamo principalmente attraverso la progettazione degli spazi espositivi di importanti fiere internazionali, come il Cersaie e il Coverings. Cersaie 2017 quest’anno riunisce tutte le aziende del Gruppo in uno spazio di circa 1000 metri quadrati, dove sono presentati anche i prodotti ceramici disegnati dal nostro studio.
Gruppo Ceramiche Ricchetti e Cersaie: stand, concept, immagine….
La collaborazione con Gruppo Ceramiche Ricchetti per il Cersaie è iniziata nel 2016 e continua quest’anno riprendendo e reinterpretando i temi che riteniamo caratterizzino l’azienda: una forte presenza come Gruppo, ma al tempo stesso un’ampia varietà di offerta, declinata tra i singoli brand, per soddisfare un pubblico poliedrico. Per questa ragione ho scelto il tema del “work in progress”, del “cantiere”, per esprimere lo spirito del Gruppo, come costante capacità di rinnovarsi e di rispondere alle molteplici necessità architettoniche che si pongono nell’ambito della progettazione, sia pubblica che privata.
L’architettura dello stand è il risultato di una continua modulazione fra superfici rivestite e reti permeabili, travi e pilastrini, che accompagnano il visitatore a conoscere le diverse anime del Gruppo, come in un giardino costruito.
Il tema del verde infatti è fondamentale nell’enfatizzare i diversi target di riferimento attraverso la scelta attenta delle essenze ed inoltre per evocare l’attenzione che il Gruppo pone da anni nella ricerca tecnologica per raggiungere standard produttivi di sostenibilità ambientale sempre più innovativi.
Ci parli della collezione “Craft” di Cisa: dal concept al prodotto, alla presenza a Cersaie 2017.
Ad oggi la tecnica nel campo ceramico è altamente sviluppata nella capacità di riprodurre e simulare i materiali naturali, quali pietre, legni, cementi etc.. annullando quasi del tutto il gap con la realtà. Da questo risultato nasce l’idea di ragionare in controtendenza e restituire alla piastrella l’autenticità e il valore tradizionale di prodotto tecnico di rivestimento come decoro. L’idea della collezione “Craft”, per Cisa Ceramiche, parte quindi dalla rielaborazione grafica di un tessuto garzato di cui mette in risalto la trama e le trasparenze grazie a un netto contrasto cromatico. Materiale dalla forte personalità, è pensato per un pubblico attento e selettivo.
A Cersaie 2017 “Craft” farà da sfondo e da collegamento alle aree comuni di reception e area meeting.